Una Frittata per la Domenica delle Palme di Elio Vernucci

A Colli a Volturno, nel secolo scorso per lo meno, nel giorno della Domenica delle Palme si svolgeva un gioco popolare (non era ancora il gioco di società per quello dovemmo pazientemente aspettare il Boom) che si chiamava gioco del Tozzo, da Tuzzare. Vedi Eduardo, Natale in casa Cupiello “ Cos’è la telepatia? È quando tu pensi che io ho tuzzuliato alla porta e io ancora non ho tuzzato”. Quindi urtare, colpire, bussare. E invece a Sepino, lì a due passi, la festa del Tozzo si svolgeva il giorno di san Rocco, il giorno dopo Ferragosto, e era ed è la festa del Tozzo cioè della pannocchia di granturco (questo il significato di Tozzo a Sepino) che viene mangiata bollita o cotta sui carboni. E’ proprio una bella festa perché ha conservato tutto il suo aspetto familiare, popolare. A Colli la domenica delle Palme si riunivano tutti i capifamiglia e si ponevano a coppia uno di fronte all’altro, come sfidanti dell’O.K. Corral, con cinque uova a disposizione come munizionamento. Erano anni, gli anni cinquanta, in cui le uova non erano disponibili tutto l’anno; non se ne vedevano da novembre a febbraio. La natura si ritirava e se ne stava nascosta. Poi alla fine di febbraio era tutto uno starnazzare, le galline si mettevano a scodellare uova e non smettevano più . I canestri si riempivano di uova e significavano (come poi i falò di san Giovanni) che la nuova primavera era arrivata, era un rinnovato e indiscusso segno di speranza, l’inverno con tutte le sue maledizioni era finito. Nel Molise si diceva “a febbraio attaccati al pollaio” e in Toscana ho ritrovato “ a febbraio non c’è gallinaccia che non faccia” e il gioco del Tozzo festeggiava proprio questo riacquisito allargamento del paniere della spesa nella dispensa, e insieme a esso si allargava il cuore. Insomma, per tornare a noi,i capifamiglia forti di queste munizioni aviarie battevano, tuzzavano le proprie uova contro quelle dell’avversario, l’uovo che non si scheggiava era vincitore e si impadroniva dell’uovo più fragile sconfitto. Non era facile dosare la forza del tozzo, incrinare l’altro senza subirne danno. Ma alla fine gli uomini più accorti, più sapienti nel dosare il tozzo o solo fortunati padroni di galline più calcio fornite si ritrovavano con un bottino di un centinaio di uova a testa. Uova di giornata ma “crittate” incrinate. Non potevano essere conservate, vista anche l’assenza totale di armadi refrigeranti che sarebbero arrivati qualche anno più tardi con il sofisticato e esotico nome di frigidaire. E non possiamo non ricordarci la grande Tina Pica in Filumena Marturano in cui interpretava la cameriera- confidente di Titina. Passava e ripassava davanti a un mastodontico frigidaire che occupava gran parte della scena e tutte le volte lo apriva e lo richiudeva e ripeteva con vera soddisfazione, stupefatta della miracolosa chiusura calamitata “ non sbaglia un còlpo!”! con la sua irresistibile e indimenticabile voce cavernosa che si soffermava sulla ò aperta. Nello stesso periodo a Colli, con tante uova in casa per i vincitori, era il momento giusto per:
la frittata di Pasqua molisana.

LA RICETTA
In un paiolo si faceva soffriggere in un litro d’olio abbondante l’intero fegato di un abbacchio tagliato a pezzetti con le foglie verdi dell’aglio fresco e un rametto di menta. In una pentola si salavano e sbattevano 50 uova, si aggiungeva una forma di formaggio fresco marzolino, ora si chiama Primo Sale, tagliato a pezzetti, si versava nel paiolo dove il fegato era cotto e si portava a fine cottura.
Noi abbiamo continuato a farla anche a Alatri, con solo venti uova però e con gli altri ingredienti ridotti in proporzione ma sempre gli stessi, precisi, anche le foglie dell’aglio e non gli spicchi. Si fa la frittata in una padella, che ho sempre, di 38 cm di diametro. E’ molto difficile da fare. Difficile seguire la cottura, ci vuole accortezza e perizia che non bruci , che non rimanga cruda all’interno (sennò sa di albume e uovo marcio) e tanta tanta perizia nel rigirarla. Per le persone tutte di un pezzo, che si vantano di essere sempre sincere e che non abbiano mai fatto ricorso, nemmeno una volta, alla riserva mentale di primo tipo, che insomma non si sono appropriate nella loro vita dell’assioma “rigirare la frittata” posso consigliare di evitare di voltare la frittata facendola cuocere a fuoco basso e tenendo la padella coperta. Viene alta circa quattro dita, e si mangia nei giorni seguenti, soprattutto nelle scampagnate, fredda, tagliata ovviamente a spicchi.

Questa sarà una rubrica periodica (almeno per il tempo della clausura, ma speriamo, più gioiosamente, anche dopo).
Ogni volta pubblicheremo una piccola storia e una ricetta di Elio Vernucci segnalandola con l’immagine ideata per l’occasione da Mario Ritarossi. Dopo il nunero zero di qualche giorno fa iniziamo ordinatamente la serie.

Associazione Gottifredo

Torna in alto