Giuseppe Agostini – un amore rovente per la musica

RICORDO DI GIUSEPPE AGOSTINI. UN AMORE ROVENTE PER LA MUSICA.

di Antonio Poce – 5/04/2020

Una giornata tristissima. Ieri mattina è venuto a mancare il Maestro Giuseppe Agostini, al quale mi legava un’amicizia antica. La mia ammirazione per la sua sapienza musicale, non meno che per la cultura vastissima, risale agli anni giovanili, quando da allievo lo conobbi in Conservatorio a Frosinone. Un’amicizia che mi ha reso fortunato frequentatore del suo mondo e delle sue avventure culturali.
Sempre vivace nella conversazione, chiunque rimaneva colpito dai suoi scatti logici, dagli amabili paradossi e dalle frequentissime e spericolate invenzioni linguistiche. Non disdegnava neanche la polemica (non faceva nulla per evitarla) considerandola uno dei tanti esercizi dell’arte retorica.

Frequentava con il medesimo rispetto gente umile e personaggi prestigiosi. Fu amico di Ettore Paratore e del Cardinale Luigi Traglia, con i quali aveva in comune la passione per il latino. Una lingua che conosceva alla perfezione. L’alto prelato lo attendeva nel suo studio per conversare nella lingua di Cicerone, lamentandosi sempre che non poteva farlo con molti altri.
Organista, clavicembalista e Direttore di Coro, ma anche compositore e direttore d’orchestra, aveva studiato con i migliori maestri di S. Cecilia a Roma diplomandosi brillantemente.
Una carriera anch’essa brillante e copiosissima. Ma nonostante gli innumerevoli successi conservava ancora il vezzo (tutto “Agostiniano”) di prosciugare il suo curriculum scrivendo una sola frase: “si è licenziato in Solfeggio con Nerina Poltronieri, presso il Conservatorio di S. Cecilia, con la votazione di 10”. Era il primo esame (tutt’altro che facile) da sostenere in Conservatorio. Per lui era la “prova incontestabile” (oltre che il presagio) di una grande competenza musicale.

Ebbe grandi onori e fece grandi rinunce. Come direttore del Coro da Camera della Rai si dimise quando una sindacalizzazione esasperata spinse i tenori a scioperare per “l’indennità del sol” (la nota più alta che qualunque normale corista deve saper cantare).
Rinunciò al posto di organista nella Cattedrale di Boston, insieme ad una cattedra universitaria, con la scusa di non parlare l’inglese. La verità era che non avrebbe resistito a lungo alla perdita delle visioni romane.

Audace demiurgo di eventi musicali (ma che erano inevitabilmente teatrali) amava guidare e sconvolgere il pubblico moltiplicando la bellezza della polifonia con la prosa fiammeggiante delle sue presentazioni e, nella maggior parte dei casi, con l’incanto dell’architettura del luogo.
La sua genialità appariva irregolare soltanto a chi non conosceva le sue frequentazioni, ma che in realtà era assolutamente canonica, tanto era ancorata, e saldamente, alla cultura classica. La sua memoria prodigiosa gli consentiva di improvvisare un Preludio e Fuga all’organo, di risolvere argutamente una disputa filologica, o di decifrare senza battere ciglio una iscrizione lapidea latina di età imperiale. Perché egli amava stupire innanzitutto se stesso, e per questa fondamentale ragione si lasciava travolgere dagli entusiasmi e li sollecitava presso tutti coloro che lo frequentavano, con l’assiduità quasi giornaliera di chi avvertiva il servizio per l’Arte come una missione da compiere. Era la sua personalissima visione del mondo, informata ai paradigmi spiraliformi della sensibilità barocca e all’incredibile palinsesto delle bellezze di Roma (città di cui conosceva i segreti come pochi) che lo ha portato ad arricchire il suo straordinario teatro della mente, divenendo quell’abile stratega delle meraviglie che tutti conosciamo.

Ne sanno qualcosa i suoi numerosissimi allievi, nei quali sapeva infondere fiducia nei propri mezzi e quel fervore iniziatico, quell’amore rovente per la musica che, prima ancora della tecnica, era il suo vero lascito estetico e umano. E’ stato per questo un grandissimo didatta.
I suoi ultimi anni al “Refice” di Frosinone coincisero con i miei primi anni di insegnamento nello stesso Conservatorio nel quale avevo studiato. Avevamo gli stessi giorni di lezione ma con orari diversi. Non ho mai mancato di passare nella sua classe per salutarlo e riverirlo come meritava. Alle 17, quando lui terminava bussava discretamente alla mia aula e mi porgeva il suo saluto con una educazione e, direi quasi, una deferenza di cui soltanto lui era capace.

Mi mancheranno, e molto, i colloquia su Mozart, Bach, Borromini, Piero della Francesca (al nome di Piero era d’obbligo l’inchino e il segno della croce, sempre) e tutti gli altri familiari artefici di Bellezza. Mi mancheranno anche le improvvise e veementi “damnationes” (obiettivi preferiti: politici e prelati), inarrivabili performances di invenzioni lessicali. Mi mancheranno gli indimenticabili saluti affettuosi, ai quali ultimamente si aggiungeva “un saluto speciale a Giovanni”, il mio ultimo figlio (autore delle foto) al quale ha tentato di insegnare il latino, trasmettendogli invece “incidentalmente” una grandissima passione per la storia dell’arte. E ancora, i pranzi frugali ma ricchissimi di racconti e di riflessioni sempre originali. I ricordi, i viaggi (quella volta a Tehran, quando si presentò alla dogana con sei bottiglie di vino…)……….

Grazie Peppe. Non so come, né dove, ma spero di rivederti.

Le foto (bellissime, vere) sono di Giovanni Poce. Grazie, Tonino, per questo ricordo. L’Associazione Gottifredo partecipa al lutto per la morte del grande musicista che è stato anche nostro amico.

Associazione Gottifredo

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